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La visura catastale al centro della disputa per lo stadio dell'Udinese
La disputa parte da lontano: il Comune doveva dismettere lo stadio e stava valutando la proposta dell'Udinese calcio. L'offerta del Comune prevede, oltre al pagamento di un canone annuale, anche che la società si accolli le spese relative alla manutenzione e ai lavori di ripristino della struttura sportiva entro tre anni.
Per questo, la squadra ha presentato dei piani per l'inizio dei lavori, avvalendosi di figure esperte per decidere quali misure adottare per lo stadio. Sui progetti in merito il Comune viene informato in tempo reale, ma non ci sarebbero documenti atti a dimostrare che il Comune sappia qualcosa sui cantieri da avviare per lo stadio.
In base alla visura catastale, l'Udinese sarebbe oggi la proprietaria dello stadio. La società ha però fatto sapere che i tre anni del piano per rimettere in sesto l'impianto sportivo sarebbero troppo pochi e i costi troppo elevati. Oltre al canone annuale, la società sportiva, per usare lo stadio, dovrebbe mettere sul piatto ben 30 milioni di Euro in tre anni. Per riuscire a eseguire i lavori (per cui è obbligata dalla visura catastale che la vede proprietaria), la società deve necessariamente agire per “scaglioni”, ovvero dividere il progetto di ristrutturazione in progetti minori atti al ripristino di un certo punto dello stadio piuttosto che di un altro.
A questo punto, l'accusa dell'Udinese diventa formalmente che il Comune abbia venduto lo stadio per evitare di spendere i 30 milioni di Euro, costringendo la società a versarli per contratto. L'ex sindaco risponde alle accuse ricordando che lo stadio ha moltissimi posti auto, e, anche se un po' lontano rispetto al centro della città è ben servito come collegamenti viari: questo piccolo vantaggio dovrebbe quindi ripagare l'Udinese delle spese sostenute. La società si chiede, allora, perché la proprietà in visura catastale sia “condizionata” da parte del Comune: quando lo stadio passò in mano ai privati, gli accordi erano che lo stadio sarebbe stato ceduto solo dopo il pagamento dei lavori da parte della società sportiva. Allora, perché inserire un canone annuale di ulteriore sostegno al Comune? Il dibattito è ancora acceso: sarebbe stato semplice, per la società sportiva, avere un dialogo con il Comune, che si è sempre trincerato nelle proprie convinzioni. Immediata la replica dell'ex sindaco: per lui, i consigli da parte della società sono sempre ben accetti.